Vertice FAO a Roma: il problema della fame nel mondo
mercoledì 4 giugno 2008
Il vertice FAO che si svolge in questi giorni a Roma ha visto in discussione le cause e le soluzioni dell'attuale gravissima crisi alimentare mondiale. Intervenuti capi di governo anche discussi, come Robert Mugabe dello Zimbabwe e il presidente dell'Iran, le discussioni sono state caratterizzate da notevoli divergenze d'opinione, fermo restando la generale constatazione dei problemi in atto. In particolare, è stato sia dibattuto il ruolo, come causa, dei biocombustibili, che quello, come soluzione degli OGM.
Quanto alle multinazionali, le ONG sono state molto dure a Roma, dove si sono dati convegno 50 capi di stato e 150 ministri dell'agricoltura, oltre a circa 20 responsabili di grandi istituzione internazionali. La bozza di cui si sta discutendo come conclusione del vertice Fao parla di un 'futuro di immensa sofferenza umana, di malessere sociale e di instabilità politica', stando alle anticipazioni di ieri del giornale El Pais. Attualmente, mentre 1 miliardo di esseri umani sono in sovrappeso (300 milioni obesi), 820 milioni, 178 dei quali bambini, sono afflitte dalla fame. Questa situazione non è cambiata dal 1990, nonostante i piani per 'dimezzare la fame nel mondo' entro il 2015 più volte annunciati.
Mentre il vertice era in atto, alla Città dell'altra economia, Testaccio, è stato indetto un Forum chiamato 'Terra Preta', dove in maniera parallela è stato discusso degli stessi problemi. I 250 partecipanti di 62 nazioni. Le critiche all'attuale tendenza dei biocarburanti non sono mancate: l'Oxfam ha fatto presente, tramite i suoi rappresentanti, che nel 2025, di questo passo, il numero di affamati aumenterà di 600 milioni oltre gli 800 attuali. Hanno puntato il dito, ma non tanto contro i governi, ma contro le multinazionali e gli intermediari: specie con superpotenze economiche come Auchan e Wal-Mart.
Ma non solo i soli indiziati: Marco del Ponte, di Action Aid, ha presentato la lista delle 5 compagnie che da sole hanno sotto il controllo l'80% del mercato dei cereali. Queste sono: Cargill (36%), Archer Daniels Midland (67%), ConAgra (30%), Bunge (49%), Dreyfuss (19% nel 2006).
Medici senza Frontiere denuncia in particolare che i bambini che soffrono la fame sono 180 milioni, di cui 20 in maniera acuta. 120.000 sono soltanto in Etiopia.
Le culture OGM e i biocarburanti sono visti da alcuni come grandi risorse, da altri con grande scetticismo o di aperta ostilità. Mentre Lula ne magnifica l’importanza della produzione (pur non nascondendo che esistono dei problemi riguardo alle condizioni dei lavoratori) e la prossima presentazione di un'automobile in materiale plastico ricavato dai biocarburanti, Frattini afferma oggi che è preoccupato di coloro che negano per principio il ricorso ai biofuels.
Dall'altra parte c'è il monito di Jacques Diouf, direttore generale della Fao, che ricorda come nel solo 2006 100 milioni di tonnellate di cereli sono stati utilizzati nel settore energetico piuttosto che su quello alimentare. Ban Ki-Moon afferma che i biocarburanti sono uno dei principali elementi che causano la crisi alimentare, ancorché non è chiaro in che misura questi incidano. Ma in ogni caso è necessario cercare il consenso sull'importanza delle due destinazioni (alimentare e energetico) dei prodotti della terra, e fare in fretta dato che la fame sta producendo rivolte e instabilità politica in molte regioni del mondo.
Le cause dell'attuale carestia, sopratutto nei Paesi più poveri non sono molto distanti nel tempo. Ce ne sono molte: cresce la domanda di cibo in generale, cresce in particolare quello di cibo d'origine animale più dispendioso per le risorse da impiegarvi (mangimi), molte terre e molte coltivazioni convertite a 'biocarburanti', che sottraggono milioni di tonnellate di alimenti all'alimentazione umana. Il deterioramento dei suoli, la siccità, i cambiamenti climatici sono altri fattori che concorrono a distruggere la capacità di produzione agricola.
Ma per meglio ricostruire la situazione attuale, è necessario ritornare indietro di alcuni decenni, agli anni '60. Allora venne inaugurata la Rivoluzione verde, che consisteva nell'aumentare la produzione agricola dei Paesi poveri. Il termine venne coniato più che per l'importanza ambientale, per ragioni politiche. Ovvero, era un metodo di contrasto dell'allora 'onda rossa' comunista. Il criterio era quello di aumentare la produzione alimentare e agricola sfruttando metodi e tecnologie industriali, migliorando la produzione unitaria.
Così venne proposto il 'Tecnical Package': sementi di nuovo tipo, ad alte rese, associate a prodotti dell'industria chimica come i fertilizzanti, pesticidi e una spinta meccanizzazione, nonché grande uso delle risorse idriche. Questo funzionò sul breve periodo, ma non senza prezzo. Dato che l'agricoltura è diventata dipendente dell'industria, le variazioni dei prezzi dei beni industriali influiscono sull'attività agricola.
I latifondi e le diseguaglianze non erano considerate nella 'Rivoluzione verde', come nemmeno lo fu il dramma sociale che si è creato poi. Visto che questo nuovo tipo di agricoltura era troppo costosa, e che per una maggiore efficienza dell'agricoltura industrializzata occorreva accorpare le tante, piccole tenute familiari nonché passare dall'agricoltura mista alla monocoltura, tutto questo portò fuori dal settore agricolo milioni di persone, che non hanno avuto lo sbocco che è stato raggiunto dai coltivatori dei Paesi Ricchi, passati alla media borghesia, imprenditoria e così via. Si sono create così immense megalopoli e baraccopoli, popolate dalle persone rimaste senza risorse nelle zone rurali.
Una seconda fase è stata quella, dagli anni '80, di sostenere tramite le sovvenzioni della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, le politiche di produzione dei singoli stati, orientandole 'al mercato'. Questo ha significato in molti casi una produzione intensiva di singole coltivazioni, esposte poi alla fluttuazione dei prezzi internazionali.
Mentre i numeri della produzione sono aumentati in maniera notevole, non c'è stato affatto un qualche tipo di rimedio alle ingiustizie sociali, e anzi, il numero delle persone affamate e povere è aumentato. Un caso è per esempio, l'India, che tra il 1966 e il 1985 ha più che raddoppiato la produzione di riso, ovvero da 63 a 128 milioni di tonnellate. Ma mentre le esportazioni indiane sono salite fino a farne uno dei principali produttori internazionali, un gran numero di persone nei suoi confini ha continuato a soffrire la fame, anche se nel 2000 il surplus di produzione, interamente mandato all'export, è stato di 44 milioni di tonnellate. Ma non dappertutto è così.
Nello stato di Kerala le cose sono andate in maniera esattamente opposta. Piuttosto che introdurre i metodi 'moderni' di agricoltura, è stata fatta, nel 1960, un'ampia riforma agraria. Questo ha significato distribuire terra ai contadini, che erano il 90% della popolazione, ma in misura non superiore agli 8 ettari. Il risultato è stato che, nonostante la densità di popolazione di 747 abitanti per km2, non c'è fame, le foreste rimaste sono in ottimo stato e così l'ambiente. La produttività delle piccole proprietà si è dimostrata più elevata dei grandi appezzamenti a monocoltura, e ha richiesto molta meno tecnologia (pesticidi e concimi chimici) e acqua.
Fonti
modifica- Piero Bevilacqua «La rivoluzione che portò fame» – l'Unità, 3 giugno 2008.
- «Le ong: «Colpa delle multinazionali e dei biocarburanti»» – l'Unità, 3 giugno 2008.
- «Fao, il nodo dei biocombustibili Frattini: no ai dogmi» – l'Unità, 4 giugno 2008.
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