Viaggio umanitario del CIS in Ruanda

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Giovedì 10 marzo 2017

Kenya. Mombasa. Scuola materna suore della Consolata
Mombasa Bimbo alla Scuola materna suore Consolata

Il viaggio umanitario del CIS (Cooperazione italiana solidarietà) di quest’anno consisterà nel portare ambulanza, ecocardiografo e materiale sanitario più Land Rover a tre ospedali in: Kenya, Sud Sudan, Ruanda.

Arrivati a Mombasa in piena notte, al controllo doganale il personale ci avverte che i pacchi di farmaci portati verranno confiscati perché illegali. Bisogna avere una speciale autorizzazione ministeriale. L’addetto si ammorbidisce di fronte a due bottiglie di vino. Dobbiamo aspettare un’ora decente per andare dalle suore della Consolata a sistemare gli zaini ed il bagaglio. Poco dopo eccoci all’agenzia che si occupa dello sdoganamento, purtroppo è situata nell’isola; per raggiungerla dobbiamo fare una lunga fila in attesa del traghetto. Per l’attraversamento di un brevissimo braccio di mare impieghiamo ogni giorno oltre un’ora. Capisco subito che l’agenzia scelta lascia molto a desiderare come impegno e serietà: promette mare e monti, poi invece dobbiamo aspettare otto giorni per lo sdoganamento dei mezzi. Uno dei tre compagni impazientito riparte da solo dopo qualche giorno di attesa. Piero R. e Roberto R. invece accettano pazientemente di attendere i mezzi. Suor Maria Antonia, intraprendente ed onnipresente madre superiora, è attenta ad ogni nostra richiesta pur essendo oberata da mille impegni: l’ospedale, l’ambulatorio, la scuola materna, la gestione della missione.

Monsignor Bertin vescovo di Mogadiscio, attualmente a Gibuti, mi ha dato un ottimo consiglio indirizzandomi a questa missione. La suora, come anche il prelato, erano stati a Mogadiscio negli anni di guerra e terrorismo. Decido di lasciare il mio ecocardiografo preso con Roberto a Vienna grazie alla generosità dell’ingegner Zeller Wolfgang, lì alla missione, in attesa che venga portato a circa mille chilometri a nord in un ospedale bisognoso (Wamba). Non abbiamo capito perché la dogana abbia parcheggiato l’ambulanza in una zona del porto distante parecchi chilometri da dove è stato lasciato il Land Rover. Con molta pazienza riusciamo a recuperare i due mezzi ed a partire nel pomeriggio. La suora insiste a darci una guida che ci accompagnerà fino a Nairobi e che poi si rivelerà di nessun aiuto. Usciti dal porto imbocchiamo la strada per Nairobi, che qui chiamano autostrada ma per noi non lo è; è molto trafficata da autocarri specie in quest’ora dove, alla periferia nord est, dovrebbe attenderci all’ospedale Neema Ruaraka il dr Morino Gianfranco, fondatore dello stesso nosocomio, che vi lavora da oltre venticinque anni. Ci ha riservato una stanza per ognuno. Per il traffico caotico e pericoloso specie di notte, dobbiamo saltare questa tappa perché la nostra media oraria non ci permette di andare più forte. Questa prima notte, di comune accordo dormiamo in auto, aggiustandoci come possiamo, il nostro accompagnatore si sistema bene in ambulanza, mentre Roberto e Piero dormono seduti. Il pomeriggio successivo siamo a Nakuru, grande città a nord di Nairobi sulla direttiva per Kampala.

 
Sud Sudan. Consegna del Land Rover ai salesiani di Giuba

Sud Sudan

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Butare la cattedrale
 
Le verdi colline del Ruanda

Avremmo dovuto andare a Giuba in sud Sudan dai salesiani che gestiscono una missione dove accolgono bambini abbandonati ed orfani. Purtroppo, pur avendo i visti d’ingresso dobbiamo malvolentieri rinunciarvi, i lunghi tempi di attesa alle frontiere rallentano la marcia. Per un disguido, l'ambasciata keniota in Italia ha registrato un solo ingresso per l'Uganda, per cui se fossimo usciti, non saremmo più potuti rientrare per andare in Ruanda.

Per consegnare il Land Rover ci accordiamo con la missione salesiana di Bombo vicino a Kampala, dove purtroppo per motivi che non capisco, uno di noi alla guida dell’ambulanza decide di non arrivare, fermandosi in un hotel prima della tappa prevista. La stanchezza e l’orgoglio fanno sempre dei brutti scherzi! Guidare su queste strade è molto pericoloso: i nostri mezzi hanno il volante a sinistra mentre qui la guida è a sinistra e quindi si sorpassa sulla destra; se si è da soli è praticamente impossibile fare la manovra; di notte diversi camionisti guidano a fari spenti e velocità sostenuta. In corrispondenza dei villaggi si incontrano numerosi dossi come dissuasori di velocità, che se vengono superati andando forte, rappresentano un serio pericolo per le sospensioni e le gomme; per non parlare poi delle persone che camminano con i bambini lungo le strade. Ai lati della carreggiata non sono rari camion rovesciati, le capre e le mucche maciullate sull'asfalto non si contano. I vigili sono inflessibili, uno di noi deve pagare una multa per eccesso di velocità.

È importante guidare controllandoci sempre a vista, ma questo semplice consiglio non viene messo in pratica da tutti. Altra regola fondamentale per non perdersi è avere ognuno il recapito telefonico dell’altro, quando si cambia la scheda telefonica con quella del posto, bisogna che tutti aggiornino il nuovo numero. Purtroppo non tutti vogliono cambiare la scheda; con quella italiana non si può comunicare dall’estero con utenti che abbiano la scheda locale. Far capire queste cose a certe persone è praticamente impossibile. Dopo un giorno, recuperato l’amico che si era staccato e superata Kampala riprendiamo tutti e tre il viaggio. In questa città, capitale dell’Uganda avremmo dovuto incontrare il nostro ambasciatore dottor Fornara conosciuto anni fa a Dakar e che ci aspettava volentieri; volevo portargli una buona bottiglia di vino ed il mio libro sui viaggi; purtroppo anche qui siamo in ritardo sulla tabella di marcia per la sosta forzata in città, poi è giorno festivo e le ambasciate sono chiuse. Dopo due ore di viaggio arriviamo a Masaka. Siamo stanchi e tesi, ma dopo qualche ora di riposo ed un'ottima cenetta ritorna la serenità.

 
Ragazza ruandese
 
Ruanda il lago Kivu

Il giorno dopo siamo in Ruanda, tappa finale l’ospedale di Murunda vicino al lago Kivu. Per le solite lungaggini burocratiche dobbiamo aspettare circa otto ore in dogana. Ci raggiunge come previsto il dottor Eugene, direttore sanitario dell’ospedale dove è destinata l’ambulanza. A sorpresa i doganieri ci avvertono che sotto il sedile di guida dell’ambulanza, alla dogana di Mombasa ci era stato messo un registratore per controllarci durante l’attraversamento del Kenya. Peccato che non ce lo abbiano detto! Ora fanno storie per questo problema, che hanno creato i loro colleghi di Mombasa! È quasi buio quando usciamo dalla dogana con l’ambulanza ed il fuoristrada di Eugene. Avevo prenotato il pernottamento dai salesiani di Kigali, la capitale, ma il dottore ci consiglia di andare direttamente all’ospedale. Noi invece avevamo pensato di ripartire il giorno successivo. Siamo a stomaco vuoto, avendo saltato pranzo. Insisto per fermarci per cena. Il dottore ci offre la cena presso una missione di suore tedesche di Kigali. Per fortuna che in Ruanda la guida è a destra, Roberto manovra l’ambulanza con maggior sicurezza. Dopo cena dobbiamo andare alla dogana centrale e lasciare il mezzo in attesa che siano espletate le lunghe procedure doganali.

Staccate le targhe da consegnare poi all’ACI in Italia e fatte le foto di rito, Eugene con la sua segretaria ci fa salire sul suo fuori strada. Roberto prende posto davanti, mentre noi con la signora ci sistemiamo dietro. Accettiamo di andare direttamente a Murunda, abbiamo così recuperato un giorno. Kigali di notte è bellissima, con tutte le sue mille luci adagiata sulle colline. Rispetto al 1994 tutto è cambiato, le persone camminano tranquille, in una città pulita ed ordinata, sembra di essere in Svizzera! Eppure siamo nel cuore dell’Africa, dopo circa 20 anni dalla tremenda guerra civile che è costata alla popolazione oltre un milione di morti, oltre a qualche milione di profughi. Le stesse case di periferia sono pulite ed ordinate, non come si vede in altre grandi città africane; non vediamo nessuno fumare, è considerata maleducazione farsi vedere con la sigaretta in mano. Ci dicono inoltre che una recente legge ha vietato l’uso degli odiosi sacchetti di plastica, che invadono ormai anche tutte le città africane. Qui la legge viene rispettata! Incontriamo prigionieri che lavorano gratis nelle numerose risaie. E poi dicono che questi sono paesi sottosviluppati!

 
Ruanda Ospedale di Murunda
 
Ruanda bambini
 
Ruanda. Murunda. Scuola elementare
 
Ruanda Gatare ospedale

Murunda

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Fuori Kigali, oltrepassata Ghitarama sede di un carcere, la strada diventa sterrata e cominciamo a salire fino ai 2700 metri di Murunda. Purtroppo nel buio non possiamo apprezzare le bellezze del posto e l’incantevole lago Kivu con le sue mille propaggini sull’acqua ricoperte da alberi di banano. Il profumo di eucalipto è fortissimo, le foglie di questo albero sembrano fosforescenti appena vengono illuminate dai fari. Eugene guida con sicurezza, cantando a squarciagola con la segretaria, hanno il volume della radio al massimo, come sovente succede in Africa. Attraversiamo un tratto di strada dove i lavoratori sono ancora all’opera, ma è mezzanotte passata. A Piero pare strano che abbiano deciso di costruire un ospedale in un posto simile! Anche se siamo stanchi, siamo ancora svegli perché entusiasti ed ammaliati dal posto. Arriviamo nel cortile dell’ospedale all’una e mezza. Due giovani preti ci stanno aspettando, ci indicano le camere; dopo qualche minuto cominciano i russamenti. Il giorno successivo, un bellissimo sole caldo ci accoglie a colazione, sul tavolo la frutta locale è immancabile. Roberto per problemi di linea la evita, Piero ed io invece assaggiamo ogni tipo di frutta. Visitiamo la scuola proprio nel momento di ricreazione.

Gli insegnanti radunano i bambini nell’ampio cortile. Saranno qualche centinaio, ognuno con la sua divisa. Intonano un breve canto di benvenuto, mi dicono di dire qualche cosa in inglese. Sono molto attenti, capiscono bene le mie parole e sorridono contenti. L’ospedale è una nuova costruzione prevalentemente ostetrico-pediatrica, perché anche qui la mortalità perinatale è alta, ma ora sembra in forte calo. Dopo pranzo ci accordiamo con suor Giampaola che ci sta aspettando a Butare, dove avevo lavorato negli anni della guerra civile. L’incontro al buio davanti alla cattedrale è commovente, lei non è per nulla cambiata. È lì dalla fine della guerra, non si è mai spostata. Appena entriamo nella missione, veniamo accolti da un rullio di tamburi e gioiosi canti delle novizie; rimaniamo commossi, che bella sorpresa! Buona cena preparata con cura dalle suore, ricordiamo i tempi andati; Roberto e Piero si informano sulle varie attività della missione, che cura bambini abbandonati e dà loro un’istruzione con tanto amore. Ho voglia di rivedere il villaggio di Gatare ad oltre 2600 metri nel cui ospedale avevo anche lavorato con l’amico Vincenzo. Suor Giampaola accetta di portarci domani mattina, se il tempo lo permette, nella notte è piovuto, la strada è sterrata ed attraversa una bellissima ma infida foresta. Saggiamente la suora dopo cena ci accompagna nella stanza. Dormiamo di sasso.

 
Strada per Gatare
 
Butare ospedale universitario
 
Ruanda neonata ospedale di Gatare

Terminata colazione, con l'autista e la suora andiamo a Gatare. È una bellissima località, appollaiata fra alte colline coltivate a terrazzamenti. Pur essendo ad oltre 2600 metri, non si avverte freddo perché siamo a due gradi a sud dell’Equatore. Si alternano le coltivazioni di mais, patate, tè e banane. Anche qui panorami da mozzare il fiato. Roberto ripete che vuole tornare con la moglie, anzi mi chiede che vorrebbe tornare con me ed assistermi nelle visite come pseudoinfermiere. Anche qui tutto è cambiato, faccio difficoltà a riconoscere i posti; hanno costruito altre strutture. I bambini però ci sono sempre. Abbiamo portato loro palline da tennis che ha recuperato Roberto. Loro sono contenti, anche quelli che non hanno niente. Scherziamo volentieri con i bambini, si dimostrano contenti della nostra presenza. Visitiamo l’ospedale ed incontro con molto piacere lo stesso infermiere con cui avevo lavorato nel 1995.

Dopo pranzo ritorniamo a Butare. Facciamo visita al memoriale, situato in un vasto campo che ci fa ricordare il tremendo genocidio. Più in là incontriamo anche un grande campo profughi gestito dall’alto commissariato Onu per i rifugiati. Che cosa strana: il Ruanda è una nazione molto povera, con mille problemi, ma ospita un enorme campo profughi che ricopre una grande collina. La sera mio fratello Gian Carlo ci avverte che da Torino sono pronti per la diretta radiofonica. É sempre un piacere sentire l’aria di casa, per fortuna mi ricordo di fare gli auguri a mia moglie per la festa del quattordici febbraio; evito così i rimproveri dell'intervistatrice Stefania, già avuti in passato. Il mattino dopo con la suora andiamo in una cooperativa, dove alcuni artigiani di vari villaggi vendono manufatti in legno o vimini. Ne acquistiamo un congruo numero specie Roberto, che venderà poi ai mercatini della sua ONLUS Ampelos di Alba, che realizza diversi progetti in Etiopia ed Eritrea. Per pranzo c’è una sorpresa: suor Giampaola ci offre un delizioso pranzo in un locale caratteristico di Kigali. Roberto, da ottimo cuoco, apprezza molto il pesce di lago che gli viene servito.

Ritorno a casa e conclusioni

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È giunta l’ora di salutarci; abbracciamo la suora per le tante cortesie avute nei nostri riguardi. Ci regala cartoline del Ruanda. La sua auto sparisce nel traffico cittadino, non prima però di averci accompagnato ad un centro di religiosi dove possiamo trascorrere il pomeriggio riposandoci in camera. Nella tarda serata con taxi già prenotato dalla suora, arriviamo all'aeroporto; qui cominceranno i pignoli controlli del bagaglio effettuati anche con cani, che si concluderanno alla dogana. Ancora qualche piccola spesa e poi saliamo sull'aereo che ci riporterà a casa.

Come sempre è stato un viaggio faticoso, che ha messo a dura prova il nostro carattere. Abbiamo comunque fatto un’esperienza che non dimenticheremo. Il mio grazie va agli amici che hanno partecipato, condividendo le gioie ed i dolori, a coloro che ci hanno aiutato, al dottor M. Bellini della Fondazione di Frosinone Boccadamo, ed ai giornalisti che ci hanno permesso di fare conoscere queste cose. Grazie a tutti! Pier Luigi B. presidente ONLUS CIS.

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