Un ragazzo giapponese lotta contro la legge che limita l'uso dei videogiochi

domenica 14 giugno 2020

Localizzazione della prefettura di Kagawa in Giappone

Wataru, il cui cognome non è stato reso noto per motivi legati alla privacy, è un ragazzo diciassettenne giapponese che vuole cambiare una legge del Paese. Nello specifico, parliamo della legge costituzionale, applicata solo nella prefettura di Kagawa, che limita, tra le altre cose, l'utilizzo dei videogiochi agli adolescenti.

In cosa consiste la legge?

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L'ordinanza è stata decisa ad aprile ed applicata esclusivamente nella prefettura di Kagawa da parte di un'amministrazione ultra conservatrice. Essa limita l'utilizzo dei videogiochi ai minorenni (in Giappone la maggiore età è pari ai 20 anni): si possono usare giornalmente 60 minuti dal lunedì al venerdì, e sabato e domenica il tempo aumenta a 90 minuti. Oltre a questo, l'ordinanza prevede che i ragazzi dai 12 e i 15 anni non usino lo smartphone dopo le 21, mentre per quelli tra 15 e i 18 anni l'orario prefissato è pari alle 22.

In caso di trasgressione non sono previste né sanzioni né pene, ma in genere i cittadini giapponesi tendono a rispettare le regole, anche a causa della pressione sociale a cui sono sottoposti.

L'avvocato che supporta Wataru

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Queste restrizioni, rese più importanti anche a causa del periodo di quarantena imposto come risposta alla pandemia di COVID-19, hanno incentivato Wataru ad assumere un legale noto nell'isola, Tomoshi Sakka. Sakka è l'avvocato che ha vinto l'ultimo ricorso ad una legge in Giappone − quella che impediva alle mogli divorziate di risposarsi nei sei mesi successivi; bisogna notare che dalla fine della guerra hanno avuto successo solamente dieci ricorsi costituzionali. Secondo Sakka ci sono buone possibilità di vittoria, anche se il fatto che non siano presenti punizioni in caso di trasgressioni potrebbe rendere difficile misurare l'impatto della norma sulla comunità.

Nonostante Wataru non sia d'accordo sulla norma, ha voluto specificare che non ha mai trasgredito né incentivato amici o familiari a farlo; tuttavia, secondo lui è la famiglia che deve controllare e gestire l'utilizzo di videogiochi o smartphone da parte dei propri figli.