Tadić vince le elezioni presidenziali serbe

domenica 3 febbraio 2008

Il presidente serbo Boris Tadić

La commissione elettorale ha di fatto confermato il dato emerso dalle proiezioni demoscopiche: il Presidente uscente Boris Tadić si aggiudica le elezioni presidenziali serbe 2008, vedendosi confermato il mandato dagli elettori.

I risultati delle urne

Nonostante gli inviti alla cautela posti in essere dalle stesse agenzie che hanno effettuato gli exit pool, già nella serata i sostenitori di Tadić si sono riversati nelle strade per festeggiare il risultato elettorale con bandiere serbe e dell'Unione Europea.

Solo nella nottata il risultato definitivo: il presidente uscente è stato confermato al secondo turno, dopo una campagna elettorale sul filo del rasoio con il nazionalista Tomislav Nikolić che era risultato vincitore della prima tornata. I dati della Commissione elettorale confermano di fatto quelli battuti dalle agenzie alla chiusura delle urne: Tadić è risultato in vantaggio di circa tre punti percentuali (50,5% contro il 47,8% del rivale), equivalenti a circa 100 000 voti. Altro risultato significativo è quello concernente l'affluenza al voto complessiva che, con il 63,8%, è la più elevata nella breve storia democratica del paese balcanico.

L'imminente indipendenza kosovara

La comunità internazionale si interroga ora su come il nuovo presidente affronterà la scottante questione del Kosovo. Il premier kosovaro Hashim Thaçi ha infatti dichiarato nei giorni precedenti al voto che l'indipendenza della regione sarebbe imminente, dando credito a chi in passato ipotizzava che questa avrebbe coinciso con l'esito delle elezioni presidenziali.

Le possibili ripercussioni in Europa

La secessione della regione non è solo una mera questione interna ai Balcani ma una potenziale miccia in grado di destabilizzare aree dello scacchiere continentale eterogenee e molto distanti fra loro. A riprova di tale asserzione è da sottolineare l'acuirsi negli ultimi mesi dello scontro diplomatico tra Nato e Russia. Quest'ultima infatti, oltre a dichiarare che non avrebbe riconosciuto il Kosovo come entità statale indipendente, ha reso edotta la comunità internazionale che, qualora la regione a maggioranza albanese dichiarasse la secessione da Belgrado, il governo russo non si esimerebbe dall'appoggiare apertamente i moti indipendentisti nelle regioni confinanti alla Federazione. Jurij Baluevskik, capo del personale militare russo, già nel dicembre dello scorso anno aveva infatti dichiarato: «Se il Rubicone sarà attraversato e nel prossimo futuro il Kosovo acquistasse lo status di indipendenza, mi aspetto che tale indipendenza trovi eco anche in altre regioni, comprese quelle vicine ai confini russi. Capite perfettamente cosa voglio dire – mi riferisco all'Abkhazia, all'Ossezia del Sud e alla Transnistria».

 
Carta geografica del Kosovo

Le prime due regioni fanno oggi formalmente parte della Georgia che, tuttavia, non ne controlla il territorio. L'Ossezia del Sud dopo una guerra civile lunga e sanguinosa contro Tbilisi, conclusasi con l'intervento delle forze armate russe intervenute alla stregua di pacificatrici, ha sancito in passato tramite referendum la propria volontà di separarsi dalla Georgia, senza tuttavia vedersi riconosciuto quale Stato indipendente dalla comunità internazionale. Il primo ministro osseto, Jurij Morozov, ha a tal proposito dichiarato nei giorni scorsi: «Io credo che gli abitanti dell'Ossezia del Sud abbiano più ragioni per dichiarare la propria indipendenza rispetto agli albanesi kosovari, pur nel rispetto che nutro per quest'ultimi».

Discorso analogo può essere posto in essere per la Transnistria, formalmente parte della Moldavia ma che dispone in realtà di un proprio esercito, un proprio sistema parlamentare e una presenza massiccia di truppe russe sul proprio territorio. Un'eventuale, ma sempre più probabile, indipendenza kosovara sembra quindi destinata a creare un effetto domino di cui, oggi, si fatica a intravedere le possibili conseguenze. Tale considerazione vale a maggior ragione per quelle aree site in regioni profondamente a rischio di destabilizzazione come sono il Caucaso e i confini orientali della Comunità Europea.

Le tensioni interne

La vittoria di Tadić, moderato e filo-europeista, sembra scongiurare il pericolo di una deriva militare nel contenzioso kosovaro, anche se all'interno del paese si registrano numerosi movimenti di protesta alla secessione di Pristina.

Si è costituita infatti una milizia paramilitare, denominata "Guardie di Lazar", che, negli intenti di Andrej Milić, teologo e fondatore della stessa, avrà il compito di proclamare il 26 febbraio, festa di San Simeone, l'indipendenza del Kosovo serbo. Tale associazione, di fatto, con l'acquiescenza delle autorità statali, è presente nella vita istituzionale del paese grazie al Fronte popolare serbo unito, suo braccio politico. L'organizzazione, che prende il nome dal condottiero e santo ortodosso Stefan Lazar Hrebeljanović, rappresenta senza dubbio un elemento destabilizzante nel panorama serbo in quanto, secondo gli analisti, potrebbe trovare un significativo appoggio in tutti quei reduci serbi delle guerre balcaniche colpiti dal dramma della disoccupazione o che sopravvivono con lavori precari e sottostipendiati.

Queste premesse, unite alla circostanza che l'opinione pubblica serba è per la stragrande maggioranza ostile o riluttante a qualsivoglia ipotesi di secessione albanese, rendono possibili scenari di sollevazioni popolari e scontri militari al momento della dichiarazione d'indipendenza del Kosovo. Il capo della delegazione russa giunta a Belgrado per monitorare l'esito del voto, Konstantin Zatulin, è stato lapidario nel sottolineare che la Russia non tollererà alcuna ingerenza degli stati occidentali volta a soffocare un'eventuale insurrezione pur lavorando attivamente perché non si verifichi alcun disordine.

Fonti