Le potenze asiatiche e lo sfruttamento dell'Africa

mercoledì 3 dicembre 2008

L'Africa, da secoli vittima di un sistematico saccheggio delle sue risorse, è attualmente sottoposta ad un nuovo fenomeno, quello del Neocolonialismo. Le multinazionali agiscono per conto dei governi, e attuano politiche economiche volte ad incrementare i guadagni per gli investitori, ma impoverire progressivamente il territorio, senza alcun riscontro economico per le popolazioni autoctone.

La Cina, ad esempio, è molto interessata all'agricoltura, dato che il suo territorio sta soffrendo pesantemente delle conseguenze di uno sviluppo aggressivo, che attualmente lascia oltre un terzo del suolo gravemente vulnerabile agli elementi climatici, preludio della desertificazione.

Le perdite stimate dalle autorità cinesi con l'ultima indagine in merito, la più grande dal 1949, sono stimate in 4,5 miliardi di tonnellate di terreno, pari a un centimetro di suolo sull'intera superficie della nazione. Questo stato delle cose non è tollerabile già nel medio periodo, tanto che la produzione agricola si stima che crollerà del 40%, provocando danni economici e ambientali enormi. Si deve ricordare che in Cina il 21% della popolazione dipende dal 9% della terra arabile.

Ma i cinesi non sono i soli a subire tali dissesti, accentuati dall'aumento della coltivazione cerealicola destinata agli allevamenti, conseguenza a sua volta della crescita del reddito medio. E così, senza andare a risolvere quello che per il momento è un problema senza soluzioni, si studiano palliativi. Per esempio, andare in zone dove i terreni sono ancora fertili, ma poco sfruttati per mancanza di risorse.

In Nigeria la Chongquing Seed Corporation ha preso in affitto 30.000 ettari di terreno per la coltivazione del riso, mentre il Mozambico sarebbe in corsa per ben 200.000 ettari nella valle dello Zambesi. I cinesi si stanno espandendo anche in altre zone dell'Asia, fino ad arrivare in Siberia per la produzione di soia.

In Corea del Sud, la Daewoo ha deciso di affittare per 99 anni 1,3 milioni di ettari del Madagascar, pari a circa metà del Belgio. Questa mossa servirà per scopi alimentari, al fine di produrre in 1 milione di ettari circa 4 milioni di tonnellate di riso e mais ogni anno, mentre il resto servirà per produrre 500.000 tonnellate di olio di palma.

Innanzitutto, come si è detto, l'accordo, dalle dimensioni senza precedenti, porterà via una grossa fetta del territorio alla popolazione malgascia; l'affitto, inoltre, sarà per ben 99 anni, quindi terminerà nel 2107; ancora, si tratta di circa la metà del territorio coltivabile dell'isola; e infine, i sudcoreani, per l'occupazione e lo sfruttamento del territorio (con la produzione prevista di 450 milioni di tonnellate di sementi) non pagheranno nulla.

Infatti, quello che si sono impegnati a fare è semplicemente la messa a cultura il territorio, ovvero opere di bonifica della savana e delle foreste presenti, il dissodamento, la semina, e creazione delle infrastrutture relative. La manodopera non sarà malgascia, poiché verranno impiegate manovalanze sudafricane e sudcoreane, ed anche le sementi verranno importate. L'investimento sarà di circa 6 miliardi di dollari.

Paesaggio africano

Il Madagascar non ha risorse per sfruttare appieno il territorio, di cui solo 2 milioni di ettari su 35 possibili sono sfruttati in termini agricoli; il resto non lo è affatto o è usato per la pastorizia.

L'affare con gli asiatici non produrrà un risultato né diretto né indiretto per la popolazione locale; per 99 anni non potranno prendere possesso della terra così dissodata dai sudcoreani, non ci sarà creazione di posti di lavoro nell'indotto, non ci saranno compensazioni industriali.

Ma questo non esaurisce il discorso. Anzitutto, il Madagascar è uno degli ultimi luoghi relativamente incontaminati del mondo (e per questo i sudcoreani lo hanno scelto), ricchissimo di specie autoctone (per esempio le proscimmie) e questo mega-progetto distruggerà una gran parte dell'attuale habitat.

La biodiversità non è infatti presa in considerazione in questo tipo di progetti. La monocoltura, inoltre, è oramai ben nota per la dannosità verso i suoli, il clima e le attività economiche di sussistenza, come la micro-agricoltura.

Questo, nel mentre per il 2050 l'Africa si prevede il raddoppio della popolazione a due miliardi. La corsa all'accaparramento delle risorse africane non ha nessuna valenza per le popolazioni locali, e non ha nessun effetto benefico per l'ambiente e la biodiversità, anzi tende non solo a distruggerli, ma anche a desertificare e a inaridire i suoli.

Per peggiorare le cose, la Cina ha già cominciato a tagliare una grossa fetta delle foreste del Congo, una concessione enorme di superficie quasi pari a quella malgascia, che doveva essere tagliata entro 20 anni, ma che sta venendo rapidamente consumata. Questo ovviamente impedisce alla foresta di ricrescere e ripianare la perdita, mentre gli elementi e minerali normalmente riutilizzati nel ciclo vitale sono trasportati via e lasciano l'ambiente e il suolo impoveriti, e alla mercé delle piogge tropicali che ne causano il dilavamento.

Ma oramai il dato è tratto, e anche l'Angola, che sfrutta solo il 10% del suo territorio sta invitando gli stranieri ad occupare il suo territorio. La britannica Lorho vorrebbe superare i sudcoreani, arrivando ad affittare 2 milioni di ettari di terreni.

L'Africa, il continente più povero, ha anche la maggior superficie coltivabile e la maggior parte delle risorse non ancora sfruttate, governi deboli, poveri o corrotti. Come ampiamente prevedibile, questi accordi sono fatti in maniera tale da non consentire alcun beneficio per le popolazioni indigene né per l'ambiente.

In tal senso si è espresso anche Jacques Diouf, presidente della FAO, che ha denunciato giorni fa i rischi che le nazioni povere possano subire se verranno usate per produrre cibo per le nazioni ricche a spese dei loro stessi cittadini.

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