L'economia dell'India è in difficoltà

mercoledì 3 dicembre 2008 Dell'India si è molto parlato, in questi giorni, ma in funzione della tragica cronaca, la violenta battaglia divampata a Mumbay, la caccia agli occidentali, l'assedio agli alberghi. L'India non è nuova, specie nelle sue grandi città, ad episodi di terrorismo clamorosi, incluso l'assassinio di leader politici, o le esplosioni a catena mirate per uccidere i civili e creare una crisi tra due potenze nucleari, essendo il Pakistan il principale sospettato degli attentati. Il problema è che i servizi segreti pakistani sono un qualcosa di imponderabile, e non si sa se e come il governo centrale è mandante oppure vittima di queste azioni.

Ma l'India, subcontinente con oltre un miliardo di abitanti, non è solo questo. La quotidianità del Paese resta sottotraccia, come la povertà della maggior parte della popolazione.

Quali siano le condizioni, e i rischi, della situazione economica di una nazione già povera e sovrappopolata, sono spiegabili con poche cifre.

20 rupie al giorno. Sono queste la ricchezza media del 77% (oltre 800 milioni di persone) della popolazione indiana. Si tratta di meno di 50 centesimi d'euro, ovvero meno di mille lire al giorno. Questo rende l'India sia una nazione moderna, lanciata nelle tecnologie avanzate e persino nelle spedizioni lunari, dove ha preceduto anche la Cina (non si sta parlando di spedizioni umane, chiaramente), è supportata dalla crescita del settore telecomunicazioni e tecnologie informatiche, che riescono a produrre fino al 35% del PIL. Questo è dovuto in larga misura al cosiddetto 'outsurcing', e facilitato dalla lingua inglese largamente parlata nell'ex 'perla' della Corona. La metà dell'export è diretta negli USA, mentre manca la domanda interna, per il semplice motivo che non esiste un reddito adeguato per la maggior parte della popolazione. Benché coloro definibili come consumatori siano saliti in un decennio da circa 100 a circa 200 milioni, sono ancora una minoranza e non c'é modo di aumentare, al momento, il livello di benessere medio. Questo nonostante i cellulari che oramai sono alla portata di circa 300 milioni di persone, ma questa cifra non dice che si tratta necessariamente di benestanti. Nel Terzo mondo è molto più economico e spesso l'unico modo possibile, estendere la rete telefonica con il sistema di ponti radio a cui i cellulari fanno affidamento. Inoltre la gente, in India, vive per lo più all'esterno delle case, spesso povere, piccole, sovraffollate. La comunicazione mobile diventa allora fondamentale per loro, anche se sono solo a pochi metri dal domicilio. L'industria pesante non è del tutto rispondente alle necessità. Di recente si è parlato della Tata, che ancora negli anni '90 produceva solo circa 1000 tonnellate di acciaio all'anno, pur avendo ben 85.000 dipendenti. Ora che l'acciaio costa molto di più e la richiesta è aumentata, ne produce 7 milioni di tonnellate, 7.000 volte tanto. Ma i dipendenti sono scesi al contempo a soli 35.000: da uno ogni 12 tonnellate prodotte, ad uno ogni 200. E questo non ha portato né diffusione della ricchezza, né equilibri sociali. La terra in India è preziosa, ed è persino accaduto che la Tata sia stata messa in crisi per ragioni che difficilmente possono essere apprezzate appieno al di fuori dell'India. È successo che a Singur siano stati requisiti 400 ettari di terra. La Tata però ne ha utilizzati per il suo nuovo stabilimento per la produzione delle famose vetture economiche da poche migliaia di dollari, solo 260. Gli altri però non sono stati restituiti. Allora la popolazione residente ha cominciato a protestare violentemente. L'agricoltura in India è sotto pesante pressione. È poco noto, ma ogni anno vi sono migliaia di contadini che si suicidano perché non possono pagare i debiti, anche modesti, che hanno contratto per mandare avanti le loro piccole proprietà. E questo, mentre i lavoratori che si possono considerare formalmente 'occupati' sono cresciuti solo di un milione dal 1991, arrivando a 8,6 milioni nel settore privato (e oltre 19 milioni nel pubblico), frutto di oltre 15 anni di liberalizzazioni. Gli agricoltori, che pure assorbono il 60% della forza lavoro indiana e che vivono nelle campagne (quelle che restano di un Paese che supere i 300 abitanti per km2), producevano il 40% del PIL negli anni '80, adesso solo il 17. In vista, se tutto potrà andare come previsto, un programma di infrastrutture per creare più posti di lavoro, come un analogo programma per l'agricoltura del 2006. Quanto e se verrà realizzato al momento non è dato sapere.


Perché adesso anche qui sono arrivati gli effetti della crisi economica globale, a maggior ragione per un Paese che vive e lavora in larga misura per l'export. E così da due mesi il traffico commerciale è in sofferenza, i moli occupati dai container. I computer Dell, che erano sbarcati in India con una previsione di 20 mila posti di lavoro entro il 2009, per il momento sono fermi a 13 mila e il futuro è quanto mai incerto. Le case, come al solito motore dello sviluppo, adesso sono vendute anche con sconti del 10%, lo stesso meccanismo visto nei Paesi avanzati. Quanto alla Tata, ha fermato uno dei suoi impianti per ridurre la produzione ora in eccedenza. Quanto alla borsa, il Sensex di Bombay è in discesa, come la rupia, che era cambiata 39:1 contro un dollaro all'inizio del 2008, mentre ora si è giunti attorno a 50:1. Il rischio per la stabilità del Paese, già segnato da terrorismo, persecuzioni contro i cristiani da parte dei fanatici Hindu e da diseguaglianze sociali immense, è a rischio. La crescita del 9%, seconda solo a quella della Cina, è in rallentamento previsto all'8% per il prossimo anno, secondo gli Indiani, mentre l'FMI stima 'solo' il 6,5%. Il problema è che l'economia indiana è oramai ampiamente liberalizzata, in sostituzione dello stato, la cui economia era straordinariamente inefficiente e soggetta alla corruzione (era noto come 'Il regno delle licenze' per poter fare qualunque cosa). Attualmente, con i problemi in vista per l'economia, gli industriali indiani stanno chiedendo l'aiuto dello Stato indiano, per poter mantenere almeno il 7% di crescita economica. Nel mentre, ad ottobre la Banca centrale indiana ha ridotto il tasso di sconto, portando a 4,5 miliardi di dollari il fondo che finanzia i tassi agevolati al credito per l'export. Tuttavia è visto con preoccupazione il decadimento del tasso di cambio, che sta mettendo in difficoltà l'export indiano, e il temporeggiamento sul taglio del costo del denaro. Questo è un problema anche per le banche, che stanno risentendo della crisi dei subprime. Si temono così perdite di investimenti stranieri, e il crollo della debole domanda interna, per le ragioni di cui sopra certamente dipendente dal costo del denaro in prestito. Un'altra decisione, infine, è stata presa sulle industrie: mai più dovranno sorgere in zone aride, come quelle nord-occidentali, perché togliere terra a contadini in zone come il Bengala Occidentale, coltivato al 99%, è decisamente irrazionale e fautore di problemi territoriali e produttivi: l'industria in tal caso va a scapito dell'agricoltura, già con i suoi problemi attuali e futuri, come la minacciata riduzione di portata dei fiumi se i ghiacciai dell'Himalaya soffrissero troppo per il riscaldamento climatico.