Informazione, una sfida contro le mafie
giovedì 21 giugno 2012
Si è svolto ieri nell'Aula Francesco Pessina della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università Federico II di Napoli il seminario “Conoscere le mafie per contrastarle” che prende spunto da una citazione di Einaudi secondo il quale “conoscere per deliberare” non è altro che una filosofia capace di rappresentare in modo pieno il problema per predisporre una risposta effettiva perché al di fuori della conoscenza è difficile produrre dei risultati concreti. Per contrastare in modo più facile e veloce la Camorra, occorre anche intervenire sul piano amministrativo con strumenti diversi come le interdittive antimafia, quindi se, ad es., una società vuole partecipare ad un appalto ma ha a suo carico una denuncia o una sentenza passata in giudicato, bisogna intervenire subito per interdirla.
Per fare ciò bisogna affrontare alcuni problemi. Prima di tutto l'inflazione di documentazione che costringe gli enti pubblici a compiere degli scambi interminabili di certificazioni (17000) che si potrebbero ridurre al minimo con l'organizzazione di un sistema informatico efficiente. Altro problema è la definizione a livello regionale di una conoscenza specifica sulla prevenzione affinché le buone pratiche possano diffondersi, così come il modello basato sulle evidenze che ha già dato buoni risultati nella lotta all'abuso di sostanze e al traffico di stupefacenti. Su ventisei categorie di affari quella che certamente colpisce di più l'economia locale è la contraffazione. Come tutte le cose bisogna iniziare da quelle piccole: non acquistare le musicassette false, non prendere le sigarette di contrabbando, non mangiare il pane adulterato, non pagare la moneta al parcheggiatore abusivo. Diversamente se la domanda non crolla, l'offerta della Camorra sarà sempre alta.
A tal fine le forze dell'ordine hanno valorizzato il territorio di concerto con l'attività delle associazioni locali private, in tal modo si realizza anche, e sopratutto, una condivisione di conoscenze e di esperienze tra i cittadini partenopei che più di tutti convivono e subiscono la realtà criminale che a sua volta ha sottratto loro ampie porzioni del territorio e che, in seguito a confisca, sono ritornate di utilità sociale, nonostante i problemi derivanti dai procedimenti e dai deficit burocratici. Allo stato attuale, infatti, il numero di beni sequestrati è molto alto, ma l'effettivo utilizzo di questi è inferiore a quanto dovrebbe essere effettivamente, e ciò perché oggi ci vogliono molti anni prima che un bene patrimoniale sia disponibile (5-10% di beni che ritornano dopo la confisca).
Oltre all'eccezionale opera di aggressione dei beni confiscati alla criminalità organizzata, occorre accennare anche al lavoro svolto in merito all'individuazione dei flussi finanziari che sostengono i clan sia dentro che fuori dal carcere. Le forze dell'ordine e la magistratura possono certo contribuire a controllare meglio il territorio ma lo Stato è anche altro, si pensi al ragazzo di Scampia che campa con 20 euro al giorno. Solo negli ultimi anni si sono persi 30000 posti di lavoro a causa della Camorra. La condivisione della conoscenza, dunque, e la possibilità di gestirla in sinergia con le istituzioni, è fondamentale per i fini che lo Stato si propone. Il richiamo ai reti finanziari, inoltre, rievoca le difficoltà a realizzare un'economia basata sulla produzione industriale nonostante tutta l'economia mondiale è ormai basata sull'oro delle banche, senza considerare i “paradisi fiscali” attraverso i quali si entra nel problema più grave del riciclaggio.
Nonostante i risultati raggiunti a livello politico, come ad es. l'istituzione del Centro di documentazione contro la Camorra alla quale ha contribuito la Regione Campania, restano i problemi di tipo amministrativo, in particolare sulla rendicontazione delle attività e sullo snellimento delle procedure burocratiche. C'è bisogno dunque di regole nuove perché quelle attuali hanno ostacolato il lavoro negli ultimi anni, ad es. il protocollo d'intesa è una “cambiale in bianco”. I politici non dovrebbero rimpiangere gli anni '80 quando erano loro a decidere e quando la guerra di camorra imperversava, mentre oggi sono le associazioni di cittadini a decidere. Si pensi al caso di Bagnoli quando il controllo apparteneva alla CGIL e poi è passato alla Camorra.
Una sfida dunque difficile quella del contrasto alle mafie ma che si può vincere anche col diritto penale che, ricordiamolo, è l'extrema ratio della politica sociale. E ciò chiama in causa un paradosso e cioè che la Camorra a Napoli è anche un ammortizzatore sociale, urge dunque più attenzione da parte del mercato così come della politica. Il problema, ad es., dello scioglimento delle amministrazioni municipali per infiltrazioni mafiose coinvolge una normativa che presenta diverse lacune laddove risulta più facile commettere reati: perché non si inviano gli ispettori del ministero? Perché si aspetta sempre la tragedia sulle pagine di cronaca prima di intervenire? La cultura dell'informazione e dello Stato di diritto, dunque, conferiscono la giusta soluzione per la lotta alla criminalità organizzata, infatti la conoscenza di un fenomeno non è solo la lettura di alcuni suoi aspetti patologici ma serve anche a stimolare la società e le persone al cambiamento.
Fonti
modifica- Emilia Sensale «Il prefetto: la camorra fa affari in 26 settori» – Roma (quotidiano), 21 giugno 2012, pag. 5.
- http://www.libera.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/6741
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