I periti confermano la morte per asfissia di Federico Aldrovandi

1 marzo 2006 La perizia redatta da Giorgio Gualandri e Antonio Zanzi, i periti nominati da Fabio Anselmo e Riccardo Venturi, i legali dei familiari della vittima, conferma l'ipotesi di morte per asfissia di Federico Aldrovandi, 18 anni appena compiuti, avvenuta il 25 settembre. Sono passati 5 mesi da quella tragica notte e la procura di Ferrara sta tentando di ricostruire gli ultimi attimi di vita del giovane, nonostante siano presenti versioni discordanti sia sui fatti accaduti che sui referti medici presentati dalla procura e dai familiari.

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All'alba del 25 settembre il ragazzo stava rientrando a piedi a casa, che si trovava ormai a poche centinaia di metri, dopo aver passato una notte con gli amici. Alle 5,45 arriva una chiamata al 112 che avverte della presenza di «un giovane che dà calci dappertutto» e subito una volante della polizia si precipita in via Ippodromo a Ferrara. Dai verbali della polizia risulta che è arrivata una seconda volante ed è iniziata una violenta colluttazione tra il ragazzo e i 4 agenti, che, secondo la ricostruzione dell'avvocato Venturi, è stata «seguita dall’immobilizzazione forzata a terra del ragazzo, protrattasi per alcuni minuti, in posizione prona e ammanettato con le mani dietro la schiena, mentre almeno un agente di polizia gravava su di lui, comprimendogli la cassa toracica».

La colluttazione è testimoniata dalle impronte dei manganelli ritrovate sul corpo e dalle ferite al volto e al capo del ragazzo, «anche se gli agenti negano che tali ferite siano riconducibili a percosse da loro inferte» continua Venturi, ma 2 dei loro manganelli sono completamente spezzati. Inoltre alcune persone che hanno assistito all'episodio hanno testimoniato di aver «sentito i rantoli e le richieste di aiuto del giovane». Alle 6.04 da una delle volanti parte una richiesta di soccorso che viene trasmessa al 118 alle 6.08 e alle 6.15 arriva la prima ambulanza, che però trova il ragazzo già morto e i sanitari chiedono agli agenti di «togliere le manette per eseguire il tentativo di rianimazione».

Secondo la perizia della procura, il decesso sarebbe riconducibile a diverse concause, tra le quali l'assunzione di alcool, eroina e ketamina. A questo proposito la perizia presentata dai periti dei familiari afferma che le conclusioni sono «in parte condivisibili, ma incomplete, perché non tengono conto di un fattore, ben documentato dagli atti e perfettamente coerente con i riscontri necroscopici, che ha determinato il decesso e che è rappresentato dalla restrizione fisica del soggetto in posizione prona ammanettato dietro la schiena, condizione che limita la capacità di ventilare i polmoni». «Le sostanze rilevate dall’indagine tossicologica (alcool etilico, ketamina e morfina) non sono idonee a determinare la morte. L’alcoolemia non è significativa (0,4 g/l, cioè inferiore ai limiti fissati dalla legge per guidare). La concentrazione di ketamina è minimale (0,04 mg/ml, cioè 40 ng/ml). Le concentrazioni mortali sono superiori a 7000 ng/ml. La morfina è stata riscontrata alla concentrazione di 0,36 mg/ml». «Non è sufficiente il puro e semplice riscontro della sostanza nel sangue, ma occorre che il decesso sia preceduto da un preciso quadro clinico, che non corrisponderebbe a livello di sintomi allo stato di agitazione manifestato da Federico». «Nel caso in esame ciò consente di escludere che il decesso sia stato prodotto da una intossicazione acuta da oppiacei».

La perizia si conclude affermando che sono «essenzialmente tre i fattori che hanno determinato la morte»: gli sforzi effettuati dal ragazzo nei momenti in cui era ammanettato, le sostanze assunte, che possono essere prese «in considerazione solo in termini di ipotesi», e la «restrizione fisica in posizione prona con le mani ammanettate dietro la schiena, idonea a interferire con la capacità di ventilare adeguatamente i polmoni».

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Federico Aldrovandi, 25 settembre 2005

Inoltre, in una lettera del 23 febbraio di Patrizia Moretti, la madre della vittima, sorgono alcuni inquietanti dubbi:

  • «perché mio figlio è morto alle 6 del mattino del 25/9/2005 a poche centinaia di metri dalla sua casa, mentre noi genitori, che lo stavamo cercando in tutti gli ospedali, siamo da Voi stati informati ben 5 ore più tardi?
  • Perché si è fatto in modo che io non lo vedessi quando era ancora sul luogo dove aveva trascorso i suoi ultimi momenti della sua troppo breve vita?
  • Perché quando ripetutamente lo chiamavo sul suo cellulare col mio ed appariva la scritta "mamma" nessuno rispondeva, mentre quando lo chiamò mio marito col proprio ed apparve la scritta "Lino", un agente rispose?
  • Perché questo agente, che già sapeva perfettamente che stava parlando col padre di un ragazzo appena morto non gli disse nulla, ma anzi chiuse la conversazione in modo quantomeno sgarbato e sbrigativo, costringendoci a tempestare invano la Questura per chiedere informazioni sulla sorte di mio figlio?
  • Perché quella maledetta mattina la Questura fornì ai giornali una versione dei fatti completamente falsata in quanto si sostenne che Federico era morto per un "malore" in circostanze apparentemente non violente, tacendo che nel fatto ben quattro agenti sono ricorsi alle cure mediche all’Ospedale S. Anna?
  • Perché solo in Parlamento è stato ammesso il violento uso di manganelli sul corpo di mio figlio, fino a romperne addirittura due?
  • Perché tanta violenza? Per impedirgli di farsi del male da solo?
  • Perché si è falsamente sostenuto o comunque lasciato intendere che Federico fosse ancora vivo all’arrivo dei sanitari i quali, addirittura si sarebbero opposti alla richiesta di togliergli le manette?
  • Perché si è chiesto l’intervento della DIGOS con la motivazione che il giovane, privo di documenti, indossava abiti che potevano corrispondere alle persone dedite a frequentare i centri sociali, mentre non si è voluto rispondere al telefonino che chiaramente diceva che lo stava chiamando la mamma?»

Del caso si sta occupando anche Amnesty International, dato che le circostanze poco chiare e il fatto che siano coinvolte le forze dell'ordine potrebbero portare il processo ad un nulla di fatto.

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