Cent'anni fa il furto della Gioconda
domenica 21 agosto 2011
Era la sera di domenica 20 agosto 1911. Un uomo trascorse la notte chiuso in un ripostiglio del Louvre. Alle 7.20 del mattino, tolse il quadro dalla cornice, lasciando la cornice, la mise sotto il cappotto e si allontanò, dopo aver chiesto ad un idraulico che lavorava di poter uscire, dato che la maniglia del portone era sparita e dopo aver persino sbagliato tram per la fuga, per poi ricorrere ad un taxi. Alle 8.30, il furto era stato compiuto.
Per accorgersi del furto si dovette aspettare le 11 del martedì successivo, 22 agosto, dato che il museo è chiuso ogni lunedì. In più, all'epoca i quadri venivano rimossi dalle pareti per essere fotografati. Quando il copista Louis Beroud notò l'assenza del quadro affermò: «Quando le belle donne non sono con i loro amanti, vuol dire che stanno posando per il loro fotografo».
Subito le polemiche: chi si lamentava della mancanza di sicurezza, chi, come il movimento politico di estrema destra Action Française con la lobby ebraica, sospettava e accusava. Intanto, i visitatori facevano la fila per vedere la cornice senza il capolavoro. Tra questi c'era il celebre scrittore Franz Kafka, che stava scrivendo delle guide low-cost per i turisti.
Il primo arresto: il poeta Apollinaire venne accusato da un amante, Honoré Géry Pieret, di aver acquistato da lui, con un amico artista chiamato Picasso, alcune antiche statuette che sono state rubate dal Louvre. Tale accusa si rivelò poi una ripicca da parte di Pieret ma Picasso utilizzò queste statuette come modello per il celebre quadro Les Demoiselles d'Avignon. Intanto, un ritratto di Raffaello prese il posto della Gioconda.
La svolta. Nel dicembre del 1912 una lettera venne inviata ad Alfredo Geri, un antiquario fiorentino. Diceva che il quadro apparteneva all'Italia dato che Leonardo da Vinci era italiano. Il ladro, che si firma "Leonardo", affermava di avere con sé il quadro e di volerlo restituire al Louvre dopo aver pagato 500 000 £ per le spese. Più avanti vi fu una trattativa tra Geri e Giovanni Poggi, l'allora direttore degli Uffizi, con il ladro a Firenze, al terzo piano della pensione "Tripoli", che adesso si chiama "La Gioconda" dopo questa vicenda. Il quadro venne subito consegnato per verificarne l'autenticità. Intanto, il ladro, Vincenzo Peruggia, imbianchino italiano emigrato in Francia, venne arrestato mentre stava passeggiando in attesa che i lavori di verifica finissero.
Durante il processo, avvenuto in Italia nello stesso momento in cui avvenne l'attentato di Sarajevo, Peruggia venne definito «mentalmente minorato» dopo una perizia condotta dal prof. Paolo Amaldi. L'imbianchino, invece, rispose affermando di aver vendicato l'Italia dei furti subiti da Napoleone Bonaparte, suscitando così qualche fremito di nazionalismo, definito addirittura peruggismo. Peruggia venne condannato ad un anno e 15 giorni di prigione, ridotti poi a sette mesi e 15 giorni.
Fonti
modifica- Stefano Bucci «Furto della Gioconda, cent’anni di mito» – Corriere della Sera, 8 agosto 2011.
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